Vietnam, cinema e quel che (mi) resta della critica cinematografica

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“This is the end, my only friend the end” cosi inizia la canzone dei The Doors che accompagna il volto sudato e contratto di Martin Sheen. Sullo sfondo Napalm e volteggiare di elicotteri. In fondo se ci pensiamo bene è questo quello che è stata la guerra del Vietnam, un continuo stato di tensione, un sudare freddo, un rumore costante e un odore attraente che ha saputo fallacemente di vittoria.

Apocalypse Now è forse il film che rappresenta al meglio il conflitto vietnamita, Marlon Brando è la follia che muove quel mondo, Martin Sheen la coscienza giusta che non cade come molti avevano fatto al cospetto del Generale Kurtz, non cade come invece fanno i capelli degli inconsci burattini di Full Metal Jacket, i robot Kubrickiani tessuti su misura da uno sciovinista incallito (Hartman) e gettati nella mischia mortale della guerra ove solo il più cinico, il più freddo riesce ad ergersi. Eroico e non ingenuo è invece Mel Gibson.

In We Were Soldiers c’è poco da capire e molto da immaginare, il truce documentario della “Caporetto” americana in Vietnam. Questi gli ingredienti principali di questa trattazione cosi complessa e tortuosa che, storia non voglia, ricorda molto il percorso di crescita spirituale del capitano Willard lungo il fiume.

Un percorso che si svolgerà trattando dapprima l’argomento guerra dal punto di vista storico-politico ma anche sociale, soprattutto, oserei dire, sociale senza dimenticare che a volte un’aratro ha più incidenza di una guerra.

Nel secondo capitolo verranno analizzati tutti i film che hanno avuto origine proprio in quel periodo, ma che soprattutto ne sono stati influenzati. Nel terzo capitolo verrà delineata una sottile e specifica analisi filmica effettuata dall’autore ai tre film più significativi del periodo in esame.

Difficile trattare queste tematiche e rimanere indifferenti dinanzi ad esse, difficile essere attori non protagonisti delle vicende narrate, non esaltarsi nei panni di Kilgore durante l’attacco “psicologico” e non solo, difficile non estasiarsi dinanzi al monologo di Kurtz o disgustarsi del cinismo di Hartman.

Narrare un film vuol dire per un attimo indossare gli abiti di chi recita e sentirsi partecipe della storia. Cinema e storia, storia e cinema, un binomio che difficilmente si può scindere o tagliare come l’occhio del Chien Andalou. Entrambi sono occhi, che catturano immagini, persone, cose e le rendono in un certo senso, immortali.

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